Con la parabola del buon Samaritano, Gesù ci ha voluto insegnare che l’amore vero supera tutte le barriere, travalica ogni confine, spezza ogni catena, abbatte ogni vecchia o antica mentalità che vorrebbe mortificarlo, polverizza i muri che l’uomo costruisce e libera i cuori dal carcere dell’egoismo e della superbia.
Non ci sono motivi razziali, di inimicizia, di pregiudizio, di diversa cultura religiosa, di urgenze rituali, di qualsiasi altro tipo che possono spegnere l’amore vero perché esso è fuoco che arde nel petto e consuma quanti si lasciano conquistare da lui.
Chi ama veramente trova sempre un motivo per chinarsi sulle ferite di quanti incontra lungo la via, per versare su di esse “l’olio della consolazione e il vino della speranza” e ridonare all’altro la forza per rialzarsi e riprendere il cammino. La sua intelligenza non trova giustificazioni per tirarsi indietro come voleva fare lo scriba che interrogò Gesù, ma vie sapienti che la spingono a intervenire in modo efficace in favore dell’umanità piagata e sofferente.
L’amore vero di questo è capace, e se non agisce in tal modo non è amore, bensì falsa carità rivestita di forme ipocrite e bugiarde – culturali o religiose che siano – che non salvano nessuno.
In fondo, se ci pensiamo, è questo l’amore che Gesù ci ha mostrato e insegnato. Egli ci ha visto peccatori, feriti a morte dal serpente antico, agonizzanti sul ciglio della strada e si è fatto nostro prossimo per salvarci. È sceso dall’alto dei Cieli e si è fatto carne nel seno purissimo della Vergine Maria per opera dello Spirito Santo e dopo aver vissuto prendendo ogni giorno su di sé nella grande sofferenza il nostro peccato, è morto sulla croce per aprirci le porte del Paradiso, generare la Chiesa e creare l’umanità nuova.
Gesù non si è fermato dinanzi alla nostra testardaggine e caparbietà. Noi eravamo suoi nemici molto di più che i Giudei nei confronti dei Samaritani eppure lui ci ha amati nonostante tutto. Gesù ha preso l’iniziativa, ci è venuto incontro, ha abbattuto l’orgoglio, ha vinto ogni motivo che avrebbe potuto farlo desistere dalla realizzazione della Redenzione a nostro favore.
Da Gesù dobbiamo tutti imparare. Bisogna che la smettiamo di guardarci in cagnesco e iniziamo ad amarci di vero cuore con l’umiltà di chi sa scendere da cavallo e mettere da parte tutto ciò che potrebbe fargli vedere l’altro come un nemico e non come un fratello da salvare e con cui camminare insieme. Non c’è cosa più brutta per un cristiano che avere un cuore meschino, astioso, colmo di orgoglio, succube di antichi rancori e schiavo di pregiudizi di ogni genere. Un cristiano del genere non serve al Regno di Dio, lo devasta anziché costruirlo, lo rende odioso anziché renderlo attraente.
Se vogliamo imitare Gesù è il nostro cuore allora che deve cambiare. Lo Spirito Santo lo deve rendere in tutto simile al cuore del Figlio di Dio altrimenti perdiamo tempo e sciupiamo infinite energie in tutto ciò che facciamo e ancor prima pensiamo.
Nella parabola del buon Samaritano il particolare che balza agli occhi è che il sacerdote e il levita vedono il malcapitato lungo la via ma il loro cuore rimane freddo, non è capace di compassione. È un cuore blindato in una mentalità religiosa che impedisce di amare, di custodire la vita dell’uomo, di mettersi a servizio di chi versa nel bisogno e sta per morire. Il sacerdote e il levita rappresentano il cristiano che non sa amare perché ha un cuore di pietra e una mente affogata in mille affanni rituali. Il cristiano che dovesse pensare e agire così vive una religione falsa, sterile e inefficace.
Oggi si parla tanto di Chiesa missionaria che deve chinarsi sull’umanità ferita e piagata, e questo è giusto. Ma io mi chiedo: come potrà la Chiesa essere missionaria se il cuore dei suoi figli non batte all’unisono con il cuore di Gesù? Il primo lavoro, quello più urgente che oggi va fatto, è il lavoro “ad intra”, l’evangelizzazione degli evangelizzatori. Purtroppo sono essi che spesso sono come il sacerdote e il levita della parabola in esame ed è per questo che ogni pastorale, per quanto perfetta nelle forme e negli intenti, rimane pastorale inutile. Se vogliamo vincere la battaglia contro i briganti di satana dobbiamo allora pensare in modo diverso e prenderci cura di coloro che frequentano la vita parrocchiale per donare loro il cuore di Cristo, la sua sapienza, la sua sublime compassione. Il resto poi lo farà lo Spirito Santo perché troverà anime disponibili a lasciarsi muovere da lui nelle strade del mondo con l’entusiasmo e lo zelo di chi sa che la salvezza dell’uomo vale più di ogni cosa.
Che la Vergine Maria, nostra Madre e Regina, ci aiuti in questa opera squisitamente ecclesiale e faccia sì che ciascuno di noi si convinca che da essa dipende l’intera missione che il Signore ci ha affidato.