La difficoltà di sempre nella pastorale è quella di convincere l’uomo che il Vangelo è la sola Parola di vita eterna, la sola Parola che realizza l’umanità e le dona pienezza esistenziale.
L’uomo infatti, non di rado, preferisce assecondare e coltivare i suoi pensieri e tende a fondare sulle sue sicurezze – su ciò che in qualche modo vede e tocca materialmente – le sue scelte. La fede nel Vangelo, che richiede la piena fiducia nella volontà di Dio, risulta pertanto assai difficile, perché esige il quotidiano rinnegamento di se stessi.
«In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme» (Lc 9,28-31).
Pietro è un esempio eloquente a tal riguardo. Egli pensava ad un Messia potente e guerriero, e non ad un Messia crocifisso e ucciso dai nemici. Avrebbe voluto vivere non per servire, ma per essere servito (cf. Mt 20,24-28). Avrebbe voluto rimanere sul monte della trasfigurazione per assaporare la beatitudine del Cielo e non scendere sul campo di battaglia per prendere la sua croce e seguire Gesù sulla via del Calvario.
Ma che forse per noi non è la stessa cosa? Diciamolo francamente: Pietro siamo un po’ tutti noi, e i suoi pensieri non sono poi tanto diversi dai nostri.
Ecco allora la Quaresima, che deve servire per un radicale cambiamento di mentalità. Dobbiamo crescere tutti nella fede e credere fermamente che obbedire al Vangelo e alla mozione dello Spirito Santo vale più di tutto il resto. È questo l’esercizio quotidiano da fare per estirpare dal nostro cuore quella sottile tendenza a fare di testa nostra, reputandoci più sapienti di Dio.
Gesù ci chiede il totale abbandono alla sua volontà. Non dobbiamo cioè usare la nostra intelligenza per capire il mistero che lui ci chiede di vivere, ma usare l’intelligenza per capire come vivere tale mistero.
Pertanto l’ascolto attento e sapiente della sua voce, che è vero e proprio comandamento del Padre celeste, è obbligatorio, se vogliamo essere a lui graditi. La certezza che dobbiamo avere nel cuore è una: Gesù non sbaglia, Lui ha parole di vita eterna e dunque la non comprensione del “perché” ci chieda qualcosa non deve ostacolare la nostra obbedienza.
I dieci Comandamenti e le otto Beatitudini appaiono ad esempio, in determinate situazioni, difficili da condividere e da vivere, ma sono sempre la via della vita che va percorsa nella fede. Non si tratta di discutere, ma di dire: “Signore, sia fatta la tua volontà! Non comprendo, ma voglio rimanere fedele a te per sempre. Aiutami con la tua grazia e non vacillerò in eterno”.
La fede è virtù per noi essenziale nella quale dobbiamo crescere ogni giorno e in particolare in Quaresima. Tuttavia essa ha come sue “compagne di viaggio privilegiate” la speranza e la carità, che la sostengono e la vivificano.
Nella speranza sappiamo che il frutto dell’ obbedienza è la vita eterna, la gioia del Paradiso che dura per sempre e che è ricompensa dal valore inestimabile. La carità invece è l’amore che arde nel nostro cuore e ci spinge a donare la vita in Cristo Signore, con la serena certezza che dalla nostra offerta nasce la salvezza per tanti nostri fratelli.
I nostri sforzi dunque non sono mai vani, perché il Signore sa come ricompensare quanti credono in lui e consolarli nei momenti difficili della loro missione, e sempre trasforma ogni nostra lacrima in acqua viva che irrora la terra e la fa germogliare.
La Vergine Maria, che ci attende nel Cielo rivestita di gloria immortale, ci prenda per mano e ci faccia crescere sempre più nella fede, nella speranza e nella carità.
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