La solitudine non è cosa buona (cf. Gn 2,18). Essa mortifica l’uomo e non lo aiuta affatto a realizzarsi, aumenta la sua vulnerabilità e non di rado favorisce la tristezza, grande nemica per tutti.
Ecco perché il Signore ci chiama a vivere in comunione, gli uni per gli altri, in un continuo arricchimento reciproco che passa attraverso il dono di sé e l’accoglienza dell’altro.
La comunione è lo stile di vita che dobbiamo sempre più fare nostro, perché insieme manifestiamo al mondo la bellezza del nostro essere creature fatte ad immagine e somiglianza di Dio, capaci di amarsi vicendevolmente, con cuore umile e sincero.
È vero, vivere ed operare insieme non è sempre facile. Ci vuole tanta pazienza, soprattutto quando bisogna condividere gli stessi spazi per molto tempo. La comunione richiede sopportazione, sacrificio, compassione reciproca, capacità di ascolto, spirito di collaborazione e spiccato senso di corresponsabilità.
Soprattutto richiede una speciale visione di fede dell’altro, che deve essere visto come un dono di Dio. E questo nonostante i difetti, che non mancano in nessuno.
Ma del resto, se ci pensiamo, Gesù non ha avuto attorno a sé gente perfetta. I suoi Apostoli – persino Pietro, Giacomo e Giovanni che furono testimoni prescelti in momenti particolari della sua vita – molto spesso rimanevano sordi ad ogni suo insegnamento e lo facevano “disperare”. Camminavano con lui con il corpo, ma erano assai lontani con la mente e lo spirito.
Gesù però non per questo li ha scacciati lontano dalla sua vista. Al contrario, li ha amati e per loro ha dato la vita fino a morire sulla croce nella grande sofferenza.
Anche noi dobbiamo fare lo stesso. Se vogliamo costruire il Regno di Dio, non a parole, ma con i fatti, dobbiamo imparare a vivere in comunione. In tal modo la croce di ogni giorno diventerà più leggera e si porterà con grande serenità. Il cammino si farà più spedito e la gioia di non essere soli avvolgerà la nostra anima.
Vivere in comunione è arma vincente contro il nemico, che ci vuole divisi, pieni di pregiudizi e di sospetti nel cuore e nella mente, astiosi, colmi di rancore anche per le più piccole incomprensioni che fanno parte della vita.
È grande l’esempio di Gesù nel Vangelo e noi che siamo suoi discepoli dobbiamo imitarlo.
In particolare dobbiamo prenderci a cuore la vita di coloro che sono in difficoltà. Non possiamo rimanere indifferenti dinanzi alla loro condizione di dolore, di disagio, di sofferenza.
Costoro sono per certi versi come il paralitico presso la piscina di Betzatà, malato da trentotto anni e lasciato solo da molti suoi concittadini. Quest’uomo avrebbe voluto guarire, ma nessuno lo aiutava, perché ognuno pensava a se stesso.
Noi cristiani dobbiamo invece avere un cuore grande e un occhio attento. Ogni piccola sofferenza dell’altro deve essere nostra. Ogni piccola croce deve appartenerci.
Crediamo allora nella potenza della comunione, che non è solo umana, quanto piuttosto ecclesiale! Costruiamola ogni giorno! Non lasciamo solo nessuno e facciamo quanto dipende da noi per immergere nella piscina della grazia e della verità coloro che il Signore ci fa incontrare lungo il cammino!
Difendiamo i deboli, gli ammalati, gli anziani, i piccoli, i poveri e quanti vivono in condizioni di particolare fragilità. Facciamo sì che possano attraverso di noi sperimentare la dolcezza dell’amore di Dio.
Il Signore ci aiuti e benedica i nostri buoni propositi, e la Vergine Maria, nostra Madre e Regina, ci conceda la grazia di essere un cuor solo e un’anima sola.