Ma poi pentitosi andò a lavorare nella Vigna – XXVI Domenica Ord A

Ma poi pentitosi andò a lavorare nella Vigna – XXVI Domenica Ord A

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Non ne ho voglia. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: Sì, signore. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?» (cf. Mt 21,28-32).

Il Vangelo di questa Domenica dice a noi, con tutta chiarezza, che il pentimento è vero se la Parola di Dio ascoltata viene messa in pratica. Non si può essere cristiani solo a parole. Ci vogliono le opere che, si badi bene, nascono dall’obbedienza a ciò che il Signore comanda a ciascuno di noi, giorno per giorno.

Il pentimento, e dunque la conversione, è legato in modo inscindibile all’obbedienza. Non si tratta di fare la propria volontà, bensì quella del Padre celeste. È questo l’atteggiamento fondamentale del cuore necessario per diventare pian piano ad immagine di Gesù, Figlio unigenito a cui tutti dobbiamo guardare per vivere la nostra vocazione filiale.

L’obbedienza può non piacere. E spesso non piace. Non di rado si è portati a seguire i propri pensieri, assecondare i propri desideri e con essi la legge della carne (cf. Rm 8,12-17), seguire le mode del momento, il pensiero dominante, lasciarsi conquistare dalla mentalità del “tutti fanno così…e anche io lo devo fare”, ma rimane il fatto che siamo chiamati all’obbedienza. Questa è l’essenza del cristianesimo. Un’obbedienza di opere e non di parole o semplici intenzioni.

Ma nello specifico di questa XXVI Domenica del Tempo Ordinario (A), cosa significa questo?

La risposta è semplice, soprattutto se pensiamo al Vangelo della scorsa settimana. Obbedire al Padre dei cieli significa lavorare nella sua Vigna. È questo un vero e proprio obbligo del cristiano. Per intenderci, non si è cristiani autentici se non si lavora nella Vigna, né si è convertiti se non si ama la Chiesa e in particolare la Parrocchia.

Il motivo è presto detto: noi siamo cristiani per la Vigna o meglio per far sì che la Vigna produca e cioè che i cuori si convertano al Vangelo e si lascino fare corpo di Cristo divenendo sue mistiche membra.

Non sembri esagerato quanto detto, perché non lo è affatto. Chi non lavora nella Vigna – a prescindere dai motivi di tale scelta che possono essere tanti ma mai sufficienti per giustificarla – non ha compreso il fine della vita cristiana. Non ha capito che Gesù ha dato se stesso per la Chiesa, per “farla santa e immacolata al suo cospetto nella carità” (cf. Ef 1,3-14), per renderla sacramento di salvezza per l’universo creato. Proviamo un attimo a pensare a Gesù crocifisso come ad una partoriente che sopporta il dolore e accoglie la sofferenza come la via perché nasca il proprio figlioletto. Gesù non si è fatto uomo e non è morto sulla croce per ostentare la sua onnipotenza. Lo ha fatto per generare la Chiesa e procurarle le grazie necessarie affinché ella possa essere Sua presenza nel mondo.

Gesù ha vissuto in funzione della Vigna, seppure sempre e comunque in obbedienza al Padre celeste. Ha lavorato con sudore di fronte e ha versato il suo sangue per concimarla. In nulla si è risparmiato, e chiede a noi di fare lo stesso. Obbedisce al Padre chi lavora nella Chiesa e porta nel mondo il Vangelo della salvezza, non a parole, ma con le opere.

Certo, lavorare nella Vigna non è una passeggiata in riva al mare in piena Estate, e i contadini lo sanno bene. Richiede sacrificio, impegno, dedizione. Ma non dimentichiamo mai che al tempo stesso è fonte di gioia e pace interiore. Ciò che bisogna fare è dunque vedere l’obbedienza e il duro lavoro apostolico con gli occhi giusti. Se ci fermiamo alle difficoltà, al fatto che incontreremo inevitabilmente ostacoli, che la conversione costa sacrificio e così via, cadremo nello sconforto e inventeremo mille scuse per non andare a lavorare nella Vigna. Per tornare all’immagine della partoriente ci fermeremo alle doglie che precedono il parto e la paura diventerà per noi paralizzante.

Ma guardiamo oltre! Gesù è salito sulla croce. Ha dato se stesso per la Chiesa per questo è stato sputato, deriso e insultato. Ma è anche risorto e dal suo costato è sgorgata l’acqua della vita ed è nata la Chiesa. Non ci fermiamo alle doglie del parto! Guardiamo all’orizzonte che si apre dinanzi a noi e potremo anche noi tenere tra le braccia il frutto del nostro grembo e del nostro amore: la salvezza di tante anime.

La Vergine Maria, Madre di tutte le madri, ci insegni come fare, oggi e sempre.

 

Clicca sul link seguente per la Liturgia della Parola di questa XXVI Domenica del Tempo Ordinario (A)