Una delle preoccupazioni che tutti abbiamo è quella di far sì che la nostra comunicazione sia efficace, porti frutto, sia performativa.
In famiglia, ad esempio, i genitori desiderano che i figli li ascoltino e si dispongano ad una sana obbedienza; in Parrocchia i Parroci nutrono attese simili per ciò che concerne i fedeli loro affidati; stesso discorso vale a scuola per gli insegnanti e gli alunni; nel mondo della politica, dell’economia, della finanza…non ne parliamo…Insomma tutti, ma proprio tutti, anche se per motivi diversi, speriamo che le nostre parole non cadano a vuoto e colpiscano nel segno.
Eppure ci accorgiamo che nonostante le nostre buone intenzioni e il nostro impegno è molto difficile che ciò accada, se non in piccola parte. Ci prepariamo, organizziamo le nostre argomentazioni a tavolino pensando che siano convincenti, magari applichiamo anche tecniche comunicative di vario genere imparate sui libri o dall’esperienza, ma poi comprendiamo che dopo anni e anni di lavoro sono pochi coloro che veramente hanno messo nel cuore e fatto proprie le parole e le idee che abbiamo seminato nel tempo.
E così non di rado, almeno per ciò che concerne la pastorale, avanza in noi un certo scoraggiamento o per lo meno una certa stanchezza dovuti al fatto che nonostante le tante omelie, le Catechesi e gli innumerevoli dialoghi chiarificatori ci si scontra con una mentalità che poco ha di ecclesiale ed evangelico.
Vale la pena continuare a sgolarsi? Si è fatto tutto bene oppure c’è qualcosa da correggere nel modo di agire e di relazionarsi con i nostri interlocutori? Perché è tanto difficile farsi comprendere? Perché le nostre parole sembrano scivolare come pioggia sull’ombrello?
Penso che proprio quanto accaduto il giorno di Pentecoste a Gerusalemme possa esserci di grande aiuto per risolvere questo nostro “piccolo grande problema”.
Proprio lì infatti, in quella occasione che deve diventare paradigmatica per noi, scorgiamo il segreto del successo di un evangelizzatore: lo Spirito Santo. È lui che deve parlare ed agire in noi e in chi ci ascolta, se vogliamo che la nostra comunicazione sia performativa. È lui che deve mettere nel nostro cuore e sulla nostra bocca la parola giusta dire. È lui che deve indicarci tempi e modalità del nostro agire. È lui che deve toccare i cuori dei nostri interlocutori. Se questo non accade, poco o nulla riusciremo a costruire.
Continueremo ad arrovellarci il cervello per studiare strategie pastorali di ogni genere, proveremo a fare di tutto per far sì che il Vangelo entri in qualche cuore, purtroppo perderemo anche la pazienza, qualche volta. Ma alla fine le nostre reti resteranno vuote perché la nostra parola non sarà capace di trafiggere il cuore di nessuno (cf. At 2,37).
È importante comprendere che chi rende la nostra comunicazione performativa è lo Spirito Santo, perché solo lui è Spirito creatore che crea in noi e attorno a noi una storia nuova in virtù dell’onnipotenza che gli è propria.
Quando lui può agire – e ciò avviene se noi viviamo nello stato di grazia e ci lasciamo muovere dal suo soffio leggero senza opporre resistenza – nulla è più come prima.
Si pensi ad esempio alla conversione di un cuore, che è un vero e proprio miracolo. Chi viene investito dal vento della Sua sapienza e conquistato dal fuoco del Suo amore cambia radicalmente modo di pensare e di agire. Viene reso nuova creatura e giorno per giorno diviene sempre più conforme a Gesù Signore.
Possiamo pensare di tutto, scrivere programmi e progetti pastorali, cambiare e inventare metodi di ogni genere, ma se mettiamo da parte lo Spirito Santo non combineremo nulla. La nostra intelligenza è cosa santa e va usata bene. La nostra creatività è cosa buona ed è giusto metterla in movimento. Ma sempre dobbiamo invocare il Maestro interiore e chiedere che ci ricolmi dei suoi sette doni perché tutto facciamo con la sapienza e l’amore che sono dall’Alto.
Che la Vergine Maria ci aiuti ad entrare in questa visione di fede del nostro vivere e del nostro agire pastorale, affinché in noi e attraverso di noi lo Spirito Santo possa continuare ad operare le sue meraviglie e a fare grandi cose per la salvezza del genere umano.
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