Le prove della vita non mancano. Sono numerose, molteplici, dai mille volti. E così, spesso, facciamo l’esperienza dei discepoli che si trovarono con la barca in mezzo ad una violenta tempesta, con i venti che soffiavano forte e le onde che quasi li facevano affondare (cf. Mc 4,36-41).
Siamo presi da angoscia mortale, tremiamo per la paura e mille pensieri affollano la nostra mente, giorno e notte. È allora che dobbiamo con fiducia alzare gli occhi al cielo e invocare nostro Signore affinché venga in nostro soccorso e ci salvi. In lui dobbiamo confidare, nel suo amore che consola e dona speranza anche nelle notti più buie, quando tutto sembra finire per noi.
Con lo sguardo fisso verso il Crocifisso dobbiamo vincere ogni paura e riprendere il cammino, nella certezza che lui mai ci abbandonerà. Per un mistero che non possiamo comprendere lui permette la prova, la sofferenza indicibile, la grande tribolazione, ma rimane sempre al nostro fianco come Prode valoroso (cf. Ger 20,11), pronto ad intervenire al momento opportuno affinché possiamo sperimentare la sua sapiente misericordia che sa custodirci come la pupilla dei suoi occhi (cf. Sal 17,8-9).
Nei momenti più difficili della nostra vita dobbiamo sempre ricordarci che mai il Signore pone sulle nostre spalle una croce che non possiamo portare, che ci schiaccerebbe al suolo, che ci annienterebbe senza scampo. Lui conosce tutto di noi. Lui vede oltre e sa bene quale via è giusto che percorriamo per crescere e diventare forti come lui ci vuole.
La sofferenza, che è nostra compagna di viaggio nel cammino della vita, non va considerata come un’inutile tragedia. Piuttosto va interpretata in un’ottica di fede come l’occasione ordinaria con cui rinsaldare la nostra comunione di vita con Cristo Gesù. È quando soffriamo infatti che possiamo sperimentare in maniera più profonda il grande amore che Dio ha per noi e che ci vuole purificare ed elevare, liberare da ogni sozzura di peccato e innestare in Cristo crocifisso dal cui costato squarciato sgorga l’acqua della vita eterna (cf. Gv 19,34).
L’innesto è doloroso, ma è ciò che trasfigura la nostra esistenza e ci fa nuove creature. È un processo che richiede da parte nostra un impegno costante, il rinnegamento di noi stessi (cf. Lc 9,23), l’abbandono dei nostri progetti quando questi non sono conformi al progetto che Dio ha pensato per noi sin dall’eternità, l’apertura del cuore e della mente all’azione misteriosa della grazia, al soffio dello Spirito Santo, che ha bisogno di un’anima leggera e di un corpo libero dal peccato e dal vizio per poter operare in noi le sue meraviglie. È il travaglio del parto dell’uomo nuovo che fa nuove tutte le cose, perché in lui e attraverso di lui opera il Dito onnipotente di Dio.
Nella sofferenza dovuta alle prove della vita, molteplici e misteriose, dobbiamo imparare a rifugiarci nel cuore di Gesù, trasformando la nostra fede in preghiera. È lì che si trova la consolazione che ristora tutto il nostro essere. Non una consolazione semplicemente umana, bensì una consolazione che rigenera e rafforza la nostra natura, tanto da renderla capace di attraversare il mare tempestoso della storia senza affondare.
Per comprendere cosa questo significhi pensiamo per un istante alla dolorosa Passione del nostro Maestro. Egli bevve il calice amaro del dolore fino in fondo, ma rimase sempre sereno e con la pace nel cuore. Gesù non ha vissuto la croce angosciato e triste, vinto da pensieri e desideri di vendetta o di ribellione. Si è immolato volontariamente come Agnello umile e mite, perdonando i suoi carnefici e implorando per loro misericordia. Ha avuto paura, ma solo per pochi istanti, nel Getsemani, quando ha sentito il peso della sua umanità e subito ha saputo rifugiarsi nel cuore del Padre suo e da Lui ha ricevuto conforto e speranza.
Gesù non ha vissuto la sua Passione da solo. Mai è stato abbandonato dal Padre suo, che l’ha sostenuto in ogni istante affinché potesse compiere la sua missione fino in fondo.
Va detto con estrema chiarezza, in questo contesto, che il Figlio dell’Altissimo ha recitato il Salmo 22 per intero e non solo nel suo incipit. Questa preghiera stupenda dice tutto il dolore di Cristo crocifisso, ma anche la sua speranza, la certezza di risorgere al terzo giorno rivestito di luce eterna. Il testo parla da sé e vale la pena rileggerlo e pregarlo insieme nella sua parte centrale: «Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, vieni presto in mio aiuto. Libera dalla spada la mia vita, dalle zampe del cane l’unico mio bene. Salvami dalle fauci del leone e dalle corna dei bufali. Tu mi hai risposto! Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea. Lodate il Signore, voi suoi fedeli, gli dia gloria tutta la discendenza di Giacobbe, lo tema tutta la discendenza d’Israele; perché egli non ha disprezzato né disdegnato l’afflizione del povero, il proprio volto non gli ha nascosto ma ha ascoltato il suo grido di aiuto» (Sal 22,20-25).
Gesù ha pronunciato queste parole non da risorto, ma con i chiodi infitti nelle mani e nei piedi, con la corona di spine che trafiggeva il suo capo, con le ossa slogate e il sangue che scorreva in abbondanza da tutto il suo corpo martoriato. Lui ha conosciuto la potenza misteriosa dell’Amore che consola e la fa conoscere a noi, se abbiamo fede e sappiamo consegnarci alla volontà di Dio anche nella sofferenza più atroce.
Ma l’Amore che consola ha un’altra meravigliosa caratteristica che ancora una volta possiamo scoprire se volgiamo lo sguardo verso il Calvario. Questo Amore è del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo, ma è anche della Madre. È l’amore di Maria, di Colei che ha consolato il suo Gesù e che consola noi, suoi figli, con quella tenerezza che le appartiene in modo unico e speciale.
Il suo cuore di Madre mai ci abbandona, mai si dimentica di noi, anche se siamo peccatori che non meritiamo nulla.
Che mistero insondabile, dinanzi al quale l’universo intero rimane attonito! Ella ci accompagna giorno e notte, si prende cura di noi, ci conosce uno per uno, vede al di là della coltre dei nostri silenzi strozzati dal dolore, scruta le nostre lacrime e sa come asciugarle, ci prende per mano nel nostro cammino di perfezione e ci ottiene le grazie di cui abbiamo bisogno per non soccombere sotto il peso della croce. Ella è per noi tutto, insieme al suo Figlio Gesù che ci ama di eterno amore.
Per questo dobbiamo invocarla senza mai stancarci e con la certezza nel cuore che chi confida in Lei non rimane deluso. Mai e poi mai, nonostante tutto, nonostante il buio che a volte ci circonda, nonostante il mondo vorrebbe che noi dubitassimo della sua materna protezione e intercessione.
Nei momenti più difficili della nostra vita, quando rimanere sulla croce diventa umanamente impossibile, quando sentiamo tutto il peso della nostra fragile umanità che sembra annientare ogni speranza, rifugiamoci nel cuore di Gesù e nel cuore di Maria, e lì troveremo la consolazione vera, quella che vince ogni paura, ogni tristezza, ogni sconforto ed è per noi, pellegrini nel tempo, meravigliosa caparra della beatitudine del Paradiso.