Annunciare il Vangelo nel mondo di oggi non è certamente cosa facile. La cultura si va sempre più scristianizzando, vi è un diffuso indifferentismo religioso, la confusione è tanta da tutti i punti di vista, impera una mentalità edonistica che rinchiude l’uomo nell’immanenza.
Ma se attendiamo il clima perfetto per annunciare il Vangelo, lasceremo l’umanità nelle tenebre dell’ignoranza di Cristo e troveremo sempre mille giustificazioni per rinchiuderci nel nostro guscio.
Il discepolo di Gesù non deve preoccuparsi delle difficoltà della sua missione né dei frutti che essa può dare nell’immediato. Deve essere in fondo come il seminatore della parabola che getta il seme in ogni tipo di terreno, senza pretendere di vedere germogliare in un istante la piantina.
Vi sono cuori che accoglieranno la nostra parola, ve ne sono altri che la rifiuteranno, ve ne sono altri che dopo il tempo dell’entusiasmo si tireranno indietro e ve ne sono altri ancora che preferiranno lasciarsi soffocare dagli affanni della vita e rubare il cuore dalle ricchezze della terra (cf. Mt 13,1-23).
Pazienza. È così e dobbiamo accettare la realtà, senza scoraggiarci o ritirarci dal campo di battaglia.
Gesù ci ha avvisati e perciò non dobbiamo lasciare spazio alla delusione e allo sconforto. Anche perché nella parabola del seminatore viene detto che ci sono anime di buona volontà che fruttificano il 30, il 60 e il 100 per uno.
Questo significa che il nostro coraggio, la nostra fede, la nostra sofferenza offerta in unione al sacrificio di Cristo, la nostra fatica apostolica e il nostro amore non cadono mai a vuoto. Possiamo vedere i frutti, pochi o molti che siano, oppure non vederli, ma questo non conta. Conta avere fatto la nostra parte. Conta avere amato nonostante tutto.
Il resto lo lasciamo al Signore e alla sua misericordia che sa andare oltre ogni nostra opera e aspettativa.
Del resto Gesù, quando è morto, aveva dinanzi a sé, ai piedi della croce, la sua Madre amatissima, Giovanni e alcune pie donne. Tutto qui. Gli altri erano tutti scappati via, impauriti dalla cattiveria dei soldati romani.
Ma questo non ha affatto significato che Gesù ha fallito la sua missione. Il seme era stato seminato e a tempo debito avrebbe prodotto, e anche tanto.
Ecco perché nel tempo di Pasqua leggiamo gli Atti degli Apostoli. Perché ci convinciamo che il Signore è “strano” con noi. Vuole che lavoriamo con serenità, entusiasmo e costanza, rimanendo saldi nella sua volontà, ma non ci vuole attaccati alla ricompensa visibile. Ci vuole sempre orientati verso l’eternità che è il dono più bello della sua Resurrezione.
Gesù ci conosce e sa quanto la nostra natura sia legata alla terra. E allora piano piano ci educa, ci modella, ci eleva, mette nel nostro cuore il desiderio di entrare un giorno nella gioia del Paradiso, dove ogni lacrima sarà asciugata e potremo tutti gioire di quella gioia che non ha fine.
Nel Cielo la nostra comunione sarà piena. Comunione con Dio e tra di noi, in quell’amore puro e perfetto, libero da ogni inquinamento di peccato, che Gesù ci ha insegnato e promesso.
Intanto camminiamo in questa vita, come camminava Abramo che ogni giorno doveva fidarsi del suo Signore più che di se stesso, doveva uscire dalla terra del suo cuore per entrare nel cuore dell’Onnipotente.
Ma mentre camminiamo imitiamo gli Apostoli che «con grande forza davano testimonianza della resurrezione di Gesù» (At 4,33) e per la loro fede hanno vinto il mondo (cf. 1 Gv 5,4). Se è possibile però, tutto questo facciamo non da soli, ma come figli dello stesso Padre, fratelli e sorelle in Cristo, comunità ecclesiale di fedeli che hanno un’arma vincente che il mondo non avrà mai: l’essere “un cuor solo e un’anima sola” (cf. At 4,32), persone che si vogliono bene veramente e si sostengono a vicenda perché sono vita gli uni degli altri.
La Vergine Maria, nostra Madre e Regina, ci aiuti e ci prenda per mano, perché anche noi rendiamo testimonianza al suo Figlio Gesù con le parole e le opere. Così molte anime si salveranno e si lasceranno conquistare dal suo eterno amore.
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