Legato alla coscienza vi è un ulteriore dono molto particolare che è difficile accettare come dono. È il rimorso.
Sappiamo che esso si attiva dopo che si commette un peccato, a patto che la coscienza sia retta e il cuore disposto al pentimento.
Esempio stupendo è la peccatrice che si recò nella casa di Simone il fariseo per incontrare Gesù, chiedergli perdono e venire da lui salvata (cf. Lc 7,36-50). Questa donna aveva sbagliato, e non una volta. La tentazione l’aveva sopraffatta e così ella aveva consegnato la sua esistenza al male.
Dobbiamo supporre, dalle parole di Simone il fariseo, che fosse famosa in quella città per le sue abitudini poco sane. Il suo comportamento doveva essere pubblico, sotto gli occhi di tutti. Ecco perché un tale disprezzo che rimane comunque ingiustificato:
«…saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!» (Lc 7,39)
Quella donna non godeva di buona stima. Le sue opere, fin o a quel giorno, erano state disastrose.
Ma cosa spinse costei a cercare Gesù e a rischiare di essere cacciata in malo modo da quella casa? Fu certamente lo Spirito Santo che poté operare in lei. Sempre Lui è all’origine della salvezza, e in questo caso del pentimento sincero. Lo Spirito Santo punge il cuore di chi ha sbagliato e se trova terreno fertile, lo riconduce sulla retta via, fa’ sì che si ravveda e ritorni all’ovile che è oggi la Chiesa.
Ma come per la coscienza, lo Spirito Santo non opera “in solitudine”. Ecco il rimorso, quel sentimento di disagio profondo che è simile ad un campanello d’allarme e turba la pace interiore. Si percepisce che ciò che si è fatto non ha prodotto bene, ma male, sofferenza gratuita, offesa di se stessi, del prossimo e di Dio.
Il rimorso, in questa luce, è un grande dono celeste che ci preserva dal pericolo di perseverare nell’errore e di aggiungere peccato a peccato. È un allarme di ultima generazione, che se fatto funzionare bene, custodisce la persona dal venire sfracellata in poco tempo dalla potenza distruttrice del male.
Il rimorso non va soffocato. Va piuttosto illuminato dalla preghiera e da un sano confronto con il Padre spirituale per discernere, alla luce della Parola di Dio, la via migliore di tutte per crescere in santità.
Il discernimento va fatto con serenità e senza alcuna paura. Se si è sbagliato, non si deve temere di ammetterlo. Piuttosto bisogna ringraziare il Signore che è intervenuto ed essere ben disposti a imparare dall’errore per non cadervi più.
Il rimorso tutela la persona, non la umilia. Certo, la chiama a conversione, la invita al cambiamento di pensiero e atteggiamento, esige anche che la stessa sia capace di chiedere perdono a Dio e a quanti sono stati offesi, ma non va considerato mai e poi mai come una sconfitta.
Pensiamo allo stesso Davide. Lui, il grande Re d’Israele, peccò contro il Signore. Lo amava, voleva servirlo in santità e giustizia, ma la sua concupiscenza lo vinse. Inizialmente, quell’uomo scelto da Dio, tentò di far finta di niente, di mascherare il suo peccato, ma questo non fece altro che aggravare la situazione.
Il Signore ebbe compassione di lui e gli mandò il profeta Natan (cf. 2 Sam 12,1-23). Davide ascoltò, non si incaponì, chiese perdono e fece penitenza. Il rimorso fu per lui via di salvezza, e lo è anche per chiunque sbaglia, se è di buona volontà.
Oggi però non si pensa così. Infatti il rimorso viene considerato da molti come un peso da cui liberarsi. Molta scienza psicologica separa il rimorso dall’azione misteriosa e salvifica dello Spirito Santo, lo considera un mero meccanismo antropologico e non di rado finisce per giustificare il male più orrendo, oscurando le coscienze e deresponsabilizzando piccoli e grandi.
Il rimorso è molto di più. Esso dice il legame intimo e vitale che c’è tra Dio e l’uomo e che non deve mai essere perso di vista. L’uomo infatti non può vivere da se stesso. Se tenta di fare una cosa del genere, si perde nei meandri di una falsa razionalità e smarrisce la via del bene. Decide lui ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ma questo lo porta ad una lenta e inesorabile autodistruzione.
Il Signore permette il peccato, perché rispetta la volontà dell’uomo, ma sempre va in soccorso della sua creatura più bella, perché non vuole che nessuno si perda. Il rimorso ne è una fulgida testimonianza che non ha bisogno di dimostrazione alcuna. Basta imparare ad ascoltare nel proprio cuore la voce dello Spirito Santo e non chiudersi ad essa.
Una massima latina è per noi di grande aiuto per fare sintesi. In questa cornice il rimorso va inteso come parte integrante del processo di conversione che è per tutti via mirabile di salvezza: “Errare humanum est, perseverare autem diabolicum” (Sbagliare è umano, ma perseverare è diabolico).
La Vergine Maria, nostra Madre e Regina, apra i nostri occhi e ci faccia leggere ogni cosa secondo la sapienza del suo Figlio Gesù affinché mai soffochiamo la verità nell’ingiustizia.
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