«In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”» (Gv 15,9-11).
La gioia è dalla fede, dall’obbedienza, dal compimento perfetto della volontà di Dio, dal rimanere noi innestati in Cristo, vera Vite. Essa è dono che discende dall’Alto e non conquista dell’uomo. È frutto dello Spirito Santo e non frutto della carne e delle sue passioni ingannatrici (cf. Gc 1,12-18).
Questo va detto oggi, perché nella nostra società scristianizzata si cerca non di rado una gioia artificiale e peccaminosa. Si pensa erroneamente che la gioia nasca dall’autodeterminazione, dallo sganciamento da Dio e dalla trasgressione di ogni legge morale. Si pensa che la felicità dipenda dall’abolire ogni genere di autorità costituita per dare sfogo ad ogni desiderio, anche perverso e iniquo. Ma così non è. La storia attesta che il peccato, il vizio, l’immoralità non generano gioia, bensì squilibrio esistenziale che diventa poi insoddisfazione perenne, turbamento, sconforto e angoscia.
Volendo ancora tornare al Giardino dell’Eden, possiamo comprendere con facilità quanto tutto questo sia vero. Adamo visse nella gioia fino a quando non mangiò dell’albero della conoscenza del bene e del male. Poi divenne triste. La paura lo assalì, il suo cuore entrò in subbuglio e perse la pace. Caduto nell’inganno del serpente, con il peccato sperimentò la morte in tutte le sue espressioni più dolorose: divenne scuro in volto, permaloso, accusatore di Dio e della donna, incapace di fare il bene che avrebbe voluto fare. Anche con il creato tutto cambiò: la natura da amica divenne nemica, e fu necessario il sudore della fronte per trarre dalla terra il cibo necessario al suo sostentamento (cf. Gn 3).
Il “prima” e il “dopo” il peccato sono totalmente differenti. Dall’armonia con Dio, con se stessi, con la persona amata, con il creato, si passa al conflitto, alla sofferenza, alla morte. E questo non come in una favola di altri tempi, ma come fatto storico che continua a realizzarsi sotto i nostri occhi e nella nostra esistenza umana.
La storia di Adamo ed Eva è paradigmatica per tutti noi. Bisogna che la comprendiamo nella sua verità teologica, storica ed esistenziale e facciamo tesoro delle preziose indicazioni in essa contenute. La Genesi è un libro ispirato ed è pertanto degno della massima fiducia. Non lo si può denigrare considerandolo una favoletta da raccontare ai bambini per tenerli occupati. Esso è scritto per noi dallo Spirito Santo e bisogna che sempre ci accostiamo al testo sacro con somma devozione e rispetto.
Peccare non è mai fonte di gioia. Disobbedire a Dio non è mai via per realizzare la propria umanità. Se oggi la tristezza gonfia il cuore di molti è perché si vive sganciati da Cristo Gesù. Non si è tralci innestati in lui perché si preferisce decretare che i Comandamenti sono roba di altri tempi e possono essere trasgrediti. Non si crede in lui, nel suo amore, nella sua sapienza, nella sua misericordia che non si stanca di cercarci come cercò Adamo dopo il peccato (cf. Gn 3,9).
Gesù parla sempre per amore, e con lui lo Spirito Santo. Gesù non inganna l’uomo. Gli indica la via della vita e gli dona la sua grazia perché la percorra fino in fondo.
Facciamo nostre le parole del divin Maestro in questa VI Domenica di Pasqua. Mettiamole nel cuore e custodiamole con somma cura: “Rimanete nel mio amore…osservate i miei Comandamenti…fidatevi di me e sarete felici”. Queste parole, rivolte a ciascuno di noi, non sono parole di inganno. Sono la via della nostra realizzazione. A noi la responsabilità di credere in esse e nella sapienza eterna che contengono.
La Vergine Maria, Madre della Redenzione, ci aiuti, ci soccorra, ci prenda per mano affinché mai smarriamo la via.
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