La sofferenza fa parte della nostra vita. Essa, dopo il peccato dei nostri progenitori, è compagna inseparabile dell’uomo.
Tutti pertanto la conosciamo, seppure in forme e intensità differenti e anche in tempi che non sono per tutti uguali. La sofferenza appartiene al grande mistero che avvolge la nostra esistenza e che non è mai uguale al mistero di un altro. Nella stessa famiglia, ad esempio, ci sono misteri totalmente differenti, che non sono neppure paragonabili.
Ecco perché non dobbiamo noi guardare la sofferenza altrui, bensì la nostra, quella che ci appartiene e ci accompagna lungo il cammino della vita. È proprio quella, e non un’altra, che ci rende unici e irripetibili, che caratterizza la nostra storia in modo particolarissimo.
Potremmo chiederci a questo punto: ma perché Gesù, che è onnipotente, non ci toglie la sofferenza? Perché, se ci ama, non ci esenta da ciò che provoca in noi dolore fisico e spirituale e ci fa stare male? Non sarebbe più logico che la sua opera salvifica fosse capace di abolire ogni sofferenza?
La risposta a queste domande non la si può trovare nel cuore dell’uomo né nella sua mente. I nostri pensieri infatti distano da quelli di Dio come Oriente dista da Occidente.
La risposta va cercata nel mistero della croce di Cristo, che noi, come Pietro, non accettiamo facilmente e non guardiamo con gli occhi della fede. Anche noi vorremmo non andare a Gerusalemme, e la ragione è una sola: non comprendiamo ancora che la salvezza passa inevitabilmente per la via della croce, perché solo sulla croce si impara ad amare.
Non è un caso che nel libro del Siracide la sofferenza derivante dalla prova è paragonata ad un crogiuolo che purifica, eleva, santifica, fa giungere alla perfezione nell’amore, se tutto è vissuto con umiltà e grande fede:
«Figlio, se ti presenti per servire il Signore, prepàrati alla tentazione. Abbi un cuore retto e sii costante, non ti smarrire nel tempo della seduzione. Stai unito a lui senza separartene, perché tu sia esaltato nei tuoi ultimi giorni. Accetta quanto ti capita, sii paziente nelle vicende dolorose, perché con il fuoco si prova l’oro, e gli uomini ben accetti nel crogiuolo del dolore. Affidati a lui ed egli ti aiuterà; segui la via diritta e spera in lui» (Sir 2,1-6).
Tutti dobbiamo convincercene: Gesù non ci toglie la sofferenza. Le dona però un significato altissimo e la riveste di un valore inestimabile.
In Cristo, la sofferenza diventa paradossalmente un dono assai prezioso, fatto a coloro che credono nel Messia crocifisso e lo contemplano con gli occhi della fede per divenire in tutto conformi a lui.
La conversione, quella vera, è anche questo grandioso cambiamento di mentalità: si impara a vedere ogni dolore, ogni prova, ogni croce non come un peso insopportabile che ci schiaccia al suolo, ma piuttosto come un’occasione preziosa per elevarsi in Dio.
È un cammino impegnativo il nostro, ma possibile. Giorno per giorno, gradino dopo gradino, dobbiamo salire fino in cima al monte Calvario, perché solo così potremo salire fino in Cielo per contemplare in eterno il Volto splendente di nostro Signore.
È questione di fede, di coraggio, di determinazione. Il cristiano non può essere pusillanime, condizionabile da ogni vento di dottrina, indeciso, friabile come un grissino. Deve irrobustirsi sempre di più nell’amore ed essere disposto ad offrire tutta la sua vita al Padre celeste come ha fatto Gesù, nostro unico Modello e Maestro.
Preghiamo molto e chiediamo al Signore la grazia di accogliere ogni sofferenza come un dono e non come una disgrazia.
La Vergine Maria, Madre della Redenzione, apra i nostri occhi e ci ottenga dal Figlio suo tutte le grazie necessarie per essere capaci di amare e di soffrire, in umiltà e mitezza, sino alla fine dei nostri giorni.
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