La regalità del cristiano è capacità di amare alla maniera di Cristo Gesù, fino al dono totale di sé, nella perfetta obbedienza alla volontà di Dio.
Si è re non perché si viene serviti, riveriti, omaggiati e incensati, ma perché si è pronti a fare, sempre e comunque, “qualsiasi cosa Gesù chiede” (cf. Gv 2,1-11); quando questo è facile e quando è difficile, quando conviene e quando non conviene, quando è chiaro il motivo per cui un comando è stato dato e quando invece bisogna mettere da parte ogni razionalità, perché il mistero ci sovrasta.
Le nozze di Cana sono in tal senso un episodio quanto mai eloquente. I servi potevano dire: “Ma come Maestro, ci stai chiedendo di esporre al ludibrio la nostra vita, di gettare via anni e anni di duro lavoro, di fare una brutta figura con gli sposi e gli invitati, di passare per imbroglioni con il maestro di tavola! Non fare così! Abbi pietà di noi! Non possiamo farci nulla se il vino è finito!”. Ma loro non hanno ragionato così. Non hanno permesso che certi pensieri facessero breccia nel loro cuore. Non sono caduti dalla fede.
I servi a Cana hanno creduto, hanno obbedito, hanno sperato contro ogni speranza e per questo sono stati benedetti. Per la loro fede gli invitati alla nozze hanno potuto assaggiare il vino squisito sgorgato dal cuore di Cristo.
Ecco la vera regalità del cristiano: obbedire e amare senza nulla chiedere, senza pretendere di comprendere tutto, divenendo strumenti docili nelle mani di nostro Signore. Chi partecipa della regalità di nostro Signore ha un solo desiderio: fare tutta la volontà di Dio, “obbedendo con gioia a Cristo, Re dell’Universo, per vivere senza fine con lui nel suo regno glorioso” (Post Communio).
Regalità, amore, obbedienza e salvezza eterna vanno insieme. Ed è per questo che ogni cristiano è chiamato alla fine dell’Anno liturgico a interrogare con maggiore attenzione la propria coscienza per comprendere su quale strada sta camminando, se su quella del Vangelo o su quella della perdizione.
Bisogna chiedere a se stessi a chi si sta obbedendo, qual è il Re che si serve, a chi si sta consegnando la propria vita, come si sta amando, se secondo la volontà di nostro Signore o secondo la volontà degli uomini. Non si può rischiare di cadere nella trappola della superficialità o dell’illusione. A nulla serve guadagnare il mondo intero se poi si perde la vita eterna, se poi ci si troverà tra le capre e non tra le pecore (cf. Mt 25, 31-46).
Ma cosa significa amare e obbedire alla luce del Vangelo di questa ultima Domenica del Tempo Ordinario? Significa imitare la Vergine Maria, ai piedi della croce, cioè assistere e soccorrere il Crocifisso che vive in ogni uomo e in particolare nell’uomo sofferente, in chi versa in condizioni di fragilità esistenziale. E questo senza cedere il passo alla stanchezza e vincendo ogni forma di scoraggiamento.
Come sul Calvario l’amore ha trionfato, così oggi deve trionfare per mezzo nostro in tutti i luoghi in cui l’uomo, piagato nel corpo e nello spirito, ha bisogno di conoscere la potente grazia di Dio e la sua misericordia.
Ciò che ha fatto la Vergine Maria ai piedi della croce siamo chiamati a farlo noi gli uni per gli altri. E se lo vorremo, ci riusciremo, perché mai il Signore ci priverà del suo celeste sostegno.
La Regina del Cielo e della Terra, degli Angeli e dei Santi, interceda per noi e ci insegni i segreti del suo cuore e del cuore del suo Figlio Gesù, Re dell’Universo.
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