QUARTO INCONTRO: la missione propria di ogni cristiano (At 16,11-15)

 

DI CHE COSA PARLIAMO…

“Nel nome del Signore, andate in pace!”. Con queste parole – o altre simili – al termine della Santa Messa il Sacerdote invita ciascuno dei presenti ad andare nel mondo per portare ovunque la Parola di Gesù e manifestare la sua infinita misericordia. È un vero e proprio mandato apostolico che ognuno è chiamato a fare proprio nella consapevolezza che Dio opera attraverso il cristiano. Se il cristiano parla, Dio parla. Se il cristiano tace, Dio tace. Se il cristiano opera perché i cuori si convertano, Dio opera attraverso di lui. Il saluto finale della Santa Messa può essere dunque compreso a condizione che ci si convinca che Dio non può fare tutto. È strano, ma è così. Dio è onnipotente ma ha bisogno di noi per salvare l’uomo e far sì che passi dalle tenebre alla luce.

La missione dunque non è riservata ad alcuni. È per tutti i battezzati, anche se ognuno la svolge secondo la sua particolare responsabilità e vocazione. Andare in pace non significa sentirsi tranquilli perché si è osservato un precetto. Significa uscire dalla Chiesa con il desiderio vivo – che arde nel cuore – di far sì che il mondo intero accolga Cristo come unico suo Salvatore e Redentore. Quando questo desiderio è forte, la fede del cristiano è forte. Quando invece è blando, la fede del cristiano è blanda.

Come e dove svolgere la missione? L’episodio degli Atti ci viene in aiuto. San Paolo, se leggiamo la sua vita, era in perenne missione. Quindi il dove è dovunque. Egli era disposto a tutto pur di condurre i cuori a Cristo perché sapeva che senza Gesù siamo nelle tenebre e succubi del principe di questo mondo. Ecco allora che dovunque andava – e la sua vita era un pellegrinare continuo – pensava nello Spirito Santo le vie e i luoghi migliori per seminare il buon seme del Vangelo, e lo faceva con sapienza ispirata. Per questo usava l’intelligenza e non per fare altro o addirittura per fare il male. La missione va fatta nell’ordinarietà dell’esistenza. Laddove c’è un uomo o una donna da salvare deve esserci anche un cristiano che si lasci fare strumento di Dio perché questo avvenga. Tocca allora a ciascuno di noi sentirci responsabili della salvezza di chi vive accanto a noi e non solo accanto a noi. Non possiamo essere assopiti, pigri, distratti, disinteressati, egoisti che pensano solo al proprio tornaconto, gente che vive senza alcun anelito missionario. Se lo facciamo, la Santa Messa è stata vana. L’abbiamo vissuta male. Abbiamo perso tempo. Dobbiamo iniziare daccapo.

 

UN ESERCIZIO SALUTARE PER LA PROPRIA VITA SPIRITUALE…

Impegnati una settimana intera a vivere pensando che il Signore può e vuole servirsi di te per condurre a sé qualche anima. Se pregherai perché accada, potrai senza dubbio invitare qualcuno a partecipare alla vita della Chiesa (la Santa Messa, una catechesi, un incontro di spiritualità…) sfruttando le piccole occasioni di ogni giorno. Provaci.

Se ti sei accorto che qualcuno si è allontanato dalla vita parrocchiale ed era presente, prega per lui/lei e prenditi a cuore la sua salvezza. Qualcosa si può fare. Anche solo una preghiera. Ma spesso si può fare molto di più.

 

PISTE DI RIFLESSIONE

Missione, vocazione personale e carismi sono intimamente uniti. In che senso? Prova a riflettere su tale legame.

Nella missione è essenziale la comunione tra i diversi membri della Chiesa. Come nasce e cresce la comunione? Quali sono gli ostacoli perché ciò avvenga?

 

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