La famiglia è necessaria per la trasmissione della fede. Essa è il primo luogo in cui la fede deve nascere e deve essere alimentata per giungere alla sua maturità.
Trasmettere e alimentare la fede nei figli è un ministero prezioso dei genitori, prima che degli altri. Tale ministero si ha per vocazione genitoriale ma anche perché ci si è assunti questo compito liberamente – e si spera consapevolmente – il giorno del Matrimonio e quello del Battesimo dei propri figli. Su questo bisogna essere chiari per demolire una pericolosa mentalità della delega che tende a deresponsabilizzare i genitori in quanto al dono della fede.
Leggendo il Vangelo ci si accorge con estrema facilità che Giuseppe e Maria hanno fatto in tal senso ogni cosa che competeva loro, con cura e attenzione. Lo si nota in particolare da tutto il capitolo secondo del Vangelo di Luca da cui emerge una sorta di preoccupazione costante a rimanere saldi nella volontà di Dio singolarmente e come famiglia:
«Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore» (cf. Lc 2,22-40).
I figli sono simili a piccole piantine, assai fragili ed esposte a mille intemperie. Essi non possono essere abbandonati a se stessi. Vanno invece aiutati nel processo, quanto mai delicato, della crescita umana, spirituale e sociale. E non si cada nell’errore di pensare che in tale processo la fede sia un corpo estraneo. Essa è al contrario necessaria perché è l’unica visione dell’esistenza che può custodire la persona umana dal male che inevitabilmente l’assale. Chi ha fede non espone la sua vita al fallimento perché è capace di discernere con precisione il bene dal male. E non si dica che il male non esiste. Il male esiste e come. La storia di ogni giorno lo attesta con evidenza ineccepibile.
Si potrebbe obiettare che i figli hanno diritto di fare le loro scelte e non vanno forzati a vivere nella fede le loro giornate. Questo ragionamento è fuorviante. Infatti un genitore, mettendo al mondo un figlio, si assume la responsabilità di dare al proprio figlio il meglio. È del genitore il discernimento in tal senso. Un figlio non può capire quando è piccolo se una cosa è buona o meno. E in verità non può neanche discernere da grande, ciò che è buono e ciò che è cattivo, se non gli viene insegnata la sapienza.
Trasmettere la fede è doveroso perché è dare ai propri figli il meglio. È aiutarli a entrare in relazione con Dio che è loro Creatore e Redentore, e deve diventare loro Maestro e Signore.
I genitori non sono i salvatori dei figli, né tantomeno i padroni della loro esistenza. Il Salvatore è uno solo: Cristo Gesù. Solo lui è il Buon Pastore che sa come difendere le sue pecorelle dai lupi famelici che le vogliono sbranare senza alcuna pietà. Ma bisogna che l’amore per Cristo e la fede in lui vengano insegnati e prima ancora mostrati con l’esempio di una vita vissuta ad immagine della Santa Famiglia di Nazareth.
Lo si dica con tutta chiarezza: se i genitori non trasmettono la fede in Cristo ai loro figli, li mettono in pericolo perché li consegnano su un piatto d’argento al principe di questo mondo che di certo questo desidera per condurli alla rovina nel tempo e nell’eternità.
La Vergine Maria e San Giuseppe suo castissimo Sposo, parlino ai cuori di ogni padre e di ogni madre e insegnino loro i segreti della vera sapienza genitoriale.
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