La correzione fraterna è una delle sette opere di misericordia spirituale che il cristiano è chiamato a vivere. Sembra strano ma è così. Amare significa correggere e non lasciare che l’altro divenga artefice di male per sé e per l’umanità intera.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano (Mt 18,15-17).
L’esempio più classico è senza dubbio quello dei genitori che se amano i loro figli non devono viziarli assecondando ogni loro desiderio. Devono al contrario educarli con quella sapienza di Spirito Santo che fa loro discernere ciò che è volontà di Dio da ciò che non lo è. I genitori sono chiamati ad essere per i loro figli guide sagge, capaci di aprire loro gli occhi quando la tentazione vuole fare breccia nel cuore per seminare in esso pensieri di stoltezza. Il figlio può non capire. Può anche piangere e fare i capricci. Ma questo non significa che il genitore debba abdicare al suo ruolo per evitare problemi e fastidi. Un atteggiamento del genere sarebbe vera e propria omissione: si poteva fare il bene e non lo si è fatto; si poteva salvare una vita umana e si è preferito lasciar perdere. Un genitore che non corregge i figli che sbagliano è spietato nei loro confronti, e non misericordioso. Questo va detto nella nostra società che ha della misericordia un’idea quanto mai confusa e vaga.
Se leggiamo in questa luce la vita di Gesù, ci accorgiamo facilmente che quanto si sta dicendo in questa sede non è altro che Vangelo allo stato puro.
Il divin Maestro con tutti visse la correzione fraterna come una grande opera di carità. Quando bisognava illuminare le menti Egli interveniva con fermezza e non lasciava che ci fossero fraintesi. Lui sapeva bene di essere responsabile della salvezza delle anime e che non poteva essere superficiale o lassista nei loro riguardi. Senza guardare in faccia a nessuno, rimaneva saldo nella volontà del Padre e aiutava gli altri a fare lo stesso.
Pensiamo all’episodio – di cui parlava tra l’altro il Vangelo di Domenica scorsa – in cui Pietro avrebbe voluto allontanarlo dall’andare a Gerusalemme per morire in croce dopo essere stato rinnegato dai capi del popolo e consegnato ai pagani. Gesù non ebbe mezze misure con il principe degli apostoli e disse quelle parole che sono tanto famose: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!» (Mt 16,23).
In quel caso Pietro commise una colpa contro il Figlio dell’Altissimo. Voleva fuorviarlo dall’obbedienza al Padre celeste e divenne collaboratore privilegiato del demonio. Il suo atteggiamento si rivelò stolto e insipiente e fu per tale motivo che Gesù lo redarguì proprio come dovrebbe fare un maestro con un discepolo o un genitore con il figlio.
La misericordia sa fare di queste cose. Ella non lascia che i pensieri del mondo entrino in un cuore perché sa bene che lasciare spazio al male significa aprire una pericolosa voragine che risucchia chiunque ad essa si avvicini.
Due verità vanno però messe in evidenza prendendo in esame il Vangelo di questa XXIII Domenica del Tempo Ordinario A. Il fine della correzione fraterna deve essere la salvezza di chi ha sbagliato. Le modalità di intervento devono essere evangeliche secondo quanto insegnato Gesù ai suoi discepoli.
Il fine: colui che corregge non lo deve fare per umiliare il peccatore o per far valere le proprie ragioni, bensì per far sì che l’altro si ravveda dalla sua condotta quando essa contrasta con la volontà di Dio. Si interviene insomma per la salvezza del fratello e non per “togliersi qualche sassolino dalla scarpa” o prendersi la propria rivincita.
Le modalità: anche queste sono disciplinate dal Vangelo di questa Domenica. La via deve essere prima di tutto il confronto personale. Un confronto lontano da orecchie indiscrete e pettegole. Un confronto sereno che fa tutto nel grande silenzio. Se questa prima modalità non funziona – sempre custodendo intatto il fine della salvezza del fratello – si passa al richiamo dinanzi a due o tre testimoni, che devono essere anche loro animati di buona volontà e gente riservata e saggia. Solo dopo aver seguito queste due regole si può rendere pubblico il rimprovero che deve comunque essere medicinale e finalizzato al più grande bene della persona.
Come si può facilmente capire accade purtroppo che né il fine, né le modalità sono spesso osservati. Ed è per questo motivo che tante volte si ottiene l’effetto contrario: si creano guerre intestine e anche le migliori amicizie sono messe in pericolo.
Che la Vergine Maria, Donna saggia e amorevole, ci insegni la vera correzione fraterna e ci faccia vivere la più perfetta delle misericordie.
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