Se vogliamo che la nostra missione evangelizzatrice sia efficace, dobbiamo necessariamente camminare insieme e agire in perfetta sinergia.
Da soli infatti siamo fragili e vulnerabili, prede succulente del principe di questo mondo che per tale motivo si industria in mille modi per creare divisioni, fazioni, antipatie, lotte fratricide, arrivismi, contese sterili, gelosie e invidie di ogni genere.
Uniti, invece, siamo forti, un esercito compatto che fa paura anche ai diavoli dell’Inferno, perché l’uno diventa il sostegno dell’altro.
Nella comunione vicendevole dobbiamo credere tutti un po’ di più, perché ancora siamo troppo presuntuosi e inclini a pensare che bastiamo a noi stessi o che gli altri non siano necessari alla nostra vita e al bene della Chiesa.
È vero, anzi verissimo: la comunione è difficile, assai difficile, perché nessuno è perfetto. Abbiamo tutti mille difetti, il carattere non sempre ci aiuta, siamo persino “lunatici” e sappiamo diventare pericolosi quando perdiamo la pazienza. Ma questa difficoltà, oggettivamente riscontrabile da tutti, non deve portarci all’isolamento né deve far sì che ci chiudiamo in noi stessi, pensando che la comunione sia impossibile da realizzare.
Se Gesù ci manda nel mondo “a due a due” e non da soli, significa che dobbiamo e possiamo imparare a lavorare insieme. La nostra fede nella Parola scritta, che ci rivela la volontà di Dio su di noi, deve anche in questo caso trionfare sui nostri pensieri che sono troppo spesso volubili e condizionati dal peccato che alberga nel cuore.
Ma perché la comunione tra di noi è tanto importante? E come possiamo “costruirla” e alimentarla giorno per giorno?
Un’immagine eloquente, e quanto mai attuale, che ci può aiutare a rispondere a tali domande è la squadra di calcio. Pensiamo un istante alla Nazionale Italiana a cui tutti in questi giorni siamo particolarmente vicini.
Se si vuole vincere una partita o un intero campionato europeo, non si può certamente pensare di poterlo fare da soli. Un giocatore da solo, contro undici della squadra avversaria, non riuscirà a fare praticamente nulla. Sarà travolto dalla sua superbia come fiume in piena e non avrà nessuna possibilità di toccare palla.
La squadra che vuole vincere deve essere composta da calciatori che sono l’uno la forza dell’altro e che rispettano almeno quattro regole fondamentali.
La prima regola è il rispetto dei ruoli. I giocatori devono tener presente che non sono uguali tra loro e non sanno fare tutti le stesse cose. Il portiere è bravo a parare. Il difensore sa come difendere. Il centrocampista imbastisce il gioco. L’attaccante segna.
Il rispetto dei ruoli risulta essere, pertanto, quanto mai importante. Se il portiere vuole fare l’attaccante e l’attaccante vuole fare il portiere, si creerà solo confusione e la partita avrà un esito nefasto. A nulla serve pensare di poter fare ciò che spetta all’altro e che solo l’altro sa fare.
Nella Chiesa non è la stessa cosa? Vocazioni, carismi, ministeri e ruoli non sono secondari. Vanno riconosciuti, apprezzati, rispettati, valorizzati. Ad esempio non si può pensare che il Sacerdote svolga la missione del laico e che il laico si sostituisca al Sacerdote.
La seconda regola è che c’è bisogno di tutti. La partita non la vincono gli attaccanti da soli. Ci vuole qualcuno che difenda e qualcuno che li metta nelle condizioni di segnare. Fare ad esempio due goal e prenderne cinque non produce l’effetto desiderato. La partita è persa.
Nella pastorale la legge è la stessa: tutti abbiamo bisogno di tutti e la sinergia tra di noi è la nostra arma vincente. La conversione dei cuori è frutto di una comunione di carismi e vocazioni che si completano a vicenda in una meravigliosa armonia ecclesiale.
La terza regola è la responsabilità personale che spinge ciascuno a fare bene ciò che deve fare. Ecco la necessità di affinare la propria tecnica, di dedicare del tempo al giusto allenamento, di specializzarsi nel proprio ruolo per il bene di tutta la squadra.
Se nella Chiesa regnano incompetenza, trascuratezza, superficialità e ignoranza delle Scritture non possiamo certamente lamentarci di non vedere frutti di conversione. Lo Spirito Santo viene incontro alle nostre debolezze, ma non ci esime dalla crescita costante in sapienza, età e grazia che è condizione necessaria perché Lui possa operare in noi in pienezza.
Infine la quarta regola: l’obbedienza alle direttive dell’allenatore. È lui che ha il compito di coordinare le forze di ciascuno e l’autorità per farlo. Se ognuno fa ciò che vuole, il caos regna sovrano, Babele trionfa, si opera in maniera disordinata e non si va da nessuna parte.
Il nostro Allenatore è lo Spirito Santo e a lui tutti dobbiamo obbedienza. Sostituirci alla sua azione misteriosa è dare spazio alla superbia e fare male a se stessi e a tutti coloro che ci stanno accanto.
Viviamo allora in comunione gli uni con gli altri! Stimiamoci e sopportiamoci a vicenda nella fede, diventiamo l’uno la forza dell’altro e cresciamo insieme per diventare la squadra più forte, quella che sa mostrare con la vita, in questo campo di gioco tanto travagliato, la stupenda onnipotenza di Dio che vuole la salvezza di tutti.
Ci aiuti in questo la Vergine Maria, nostra Madre e Regina, con la sua preghiera costante e con il suo amore invincibile e sapiente.
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