Se vuole edificare il Regno di Dio in mezzo agli uomini, il cristiano deve diventare strumento dell’onnipotenza divina, altrimenti non ha alcuna possibilità di successo.
Non è infatti possibile sconfiggere il male, e ancora prima vederlo, se il Cielo non viene in nostro aiuto, perché siamo tutti fragili e incapaci persino di dire una sola parola che possa portare giovamento ad un cuore.
Del resto questa legge è valsa anche per Gesù. Lui ha sempre alzato gli occhi al cielo per compiere la sua missione. Li ha alzati prima di andare in mezzo agli uomini, nelle lunghe notti passate in preghiera, e immediatamente prima di compiere miracoli, segni e prodigi, di convertire i cuori, di consolare gli afflitti. Niente Gesù ha fatto con le sole forze umane. Piuttosto ha messo a disposizione del Padre celeste la sua umanità, con quella sapienza che sempre lo contraddistingueva.
«Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: “Effatà”, cioè: “Apriti!”. E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente» (Mc 7,32-35).
Aprire le orecchie ad un sordo e sciogliere la lingua di un muto in un istante è opera che solo il Creatore del cielo e della terra può compiere, e su questo bisogna che tutti siamo sommamente chiari. Le opere di Dio vanno a lui attribuite, perché la gloria è solo sua e di nessun altro.
Ma perché in Gesù operava l’onnipotenza divina e in noi non opera? Qual era il segreto del divin Maestro? Cosa dovremmo fare noi per imitarlo, almeno in piccola parte?
La risposta a queste domande è semplice: Gesù camminava sempre con il Padre celeste e il Padre celeste camminava sempre con lui. Il segreto di Gesù era uno solo: il suo non essere autonomo, il suo pensare, decidere e operare in ogni istante in perfetta sintonia con Colui che lo aveva mandato nel mondo (cf. Gv 8,28-29; 12,49-50).
L’obbedienza, che è rispetto dell’Alleanza fatta con Dio, è la via obbligata perché l’onnipotenza divina operi in noi e attraverso di noi.
I miracoli infatti non sono fine a se stessi. Sono la via che il Signore usa, secondo la sua imperscrutabile sapienza, per accreditare quanti si consacrano totalmente alla causa del suo Regno, affinché la loro parola sia creduta e accolta come vera Parola di Dio alla quale si deve ogni obbedienza.
L’onnipotenza divina non è governabile dalla nostra intelligenza e volontà. Il Signore ne è geloso e non l’ha messa nelle nostre mani a prescindere da ciò che lui decide. Camminiamo con lui, lui cammina con noi. Camminiamo con noi stessi e con il mondo, lui si ritira e ci lascia in balia della nostra stoltezza.
Comprendere e fare nostra questa verità – che è intramontabile – è quanto mai importante per noi. O partiamo da questa prospettiva oppure siamo fuori di ogni possibile logica della salvezza. Non siamo noi infatti i salvatori. Il Salvatore è uno solo, e a lui bisogna sempre chiedere cosa fare, quando farlo, come farlo e a chi farlo. L’obbedienza e la perfetta sintonia con i suoi progetti ci rende strumenti della sua onnipotenza e manifestazione del suo amore in mezzo agli uomini. L’autonomia dai suoi desideri ci rende presuntuosi e incapaci di compiere le sue opere e di generare salvezza.
Il Vangelo di questa XXIII Domenica ci insegna pertanto una cosa semplice: anche noi possiamo aprire le orecchie di quanti sono sordomuti, ma solo se noi per primi apriamo le nostre orecchie per ascoltare quanto il Signore ha da dirci.
La Vergine Maria, nel cui grembo purissimo si è compiuto per la sua fede il più grande di tutti i miracoli, ci insegni ad imitarla affinché il suo Figlio unigenito accrediti anche noi nella nostra missione.
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