XXVI Domenica Anno C – Stando negli inferi tra i tormenti (Lc 16,19-31)

XXVI Domenica Anno C – Stando negli inferi tra i tormenti (Lc 16,19-31)

Il giusto giudizio di Dio è verità eterna che mai tramonta nonostante siano tanti coloro che vorrebbero negarlo e cancellarlo dalle coscienze.

Ognuno di noi, al termine della sua breve esistenza terrena, deve rendere conto al Giudice supremo di pensieri, parole, opere e omissioni; di ciò che ha detto e fatto sul palcoscenico del mondo sotto gli occhi di molti o nelle stanze più segrete della terra dove non arriva occhio umano e tutto può essere nascosto e occultato a proprio piacimento.

Il giudizio è per tutti: piccoli e grandi, ricchi e poveri, sani e malati, potenti e deboli, personaggi pubblici e gente comune, sacerdoti e laici, Vescovi, Papi e Re. Ciascuno dovrà presentarsi dinanzi a Cristo Signore e la sua vita sarà esaminata nei minimi particolari, senza distrazioni e superficialità. Non vi saranno avvocati difensori ma solo la storia, nuda e cruda, che abbiamo vissuto. Sarà essa a parlare per noi insieme alle nostre più segrete intenzioni del cuore che verranno svelate dinanzi al tribunale celeste.

Sarà allora che ognuno riceverà ciò che merita: il Paradiso, per quanti hanno offerto se stessi in unione al sacrificio di Cristo per la salvezza del mondo intero, hanno perdonato i propri carnefici e hanno saputo amare compiendo in tutto la volontà di Dio; il Purgatorio, per coloro che hanno camminato nel santo timore di Dio, si sono pentiti dei loro peccati, ma non sono riusciti a scalare le vette più alte della santità; l’Inferno, per quanti hanno vissuto inseguendo i loro pensieri e quelli del mondo, hanno considerato il Vangelo una favola di altri tempi, si sono consegnati al male e al vizio, hanno trasgredito la santa Legge dell’Altissimo insultando con la loro condotta perversa e insubordinata il Crocifisso risorto.

Il giusto giudizio di Dio è stato, è e sarà per sempre a prescindere dal fatto che l’uomo creda o meno in esso. Non è cioè il cattolico che viene giudicato perché la sua religione afferma questa verità. È l’uomo in quanto tale che, volente o nolente, deve rendere conto del suo operato al suo Creatore.

Ciascuno infatti, per statuto ontologico, ha una coscienza, intelligenza e ragionevolezza tali da poter giungere – se vuole – ad affermare l’esistenza di Dio come la verità da cui partire per aprirsi alla fede retta in Lui. La decisione di “soffocare la verità nell’ingiustizia” per cattiva volontà è pertanto non giustificabile perché colpevole in se stessa, secondo quanto afferma a chiare lettere San Paolo nella lettera ai Romani (cf. Rm 1,16-32).

Il ricco epulone – e con lui tutti i dannati dell’Inferno – non può prendersela con nessuno. Né con Dio, né con gli uomini. La causa del tormento atroce che lo divorerà per tutta l’eternità è da ricercarsi solo nella sua stoltezza. Essa e soltanto essa lo ha spinto a vivere senza preoccuparsi minimamente di conoscere la volontà di Dio e lo ha costretto alla più ottusa cecità del cuore che lo ha reso incapace di vedere il povero Lazzaro come la chiave del Paradiso che l’Onnipotente, nella sua misericordia, aveva posto dinanzi alla porta della sua casa. Sarebbe bastato che lui prendesse questa chiave misteriosa eppure visibile e la gioia vera avrebbe avvolto tutto il suo essere, nel tempo e nell’eternità.

Il ricco epulone è immagine dell’uomo che chiude il suo cuore alla grazia e si lascia fare schiavo dalla concupiscenza e dal vizio. È immagine di chi rimane sordo dinanzi alla Parola di Dio affermando che essa è parola come le altre che l’uomo proferisce secondo le sue immaginazioni più o meno sapienti. È immagine di chi preferisce le tenebre alla luce perché le sue opere sono malvage (cf. Gv 3,19).

La salvezza o la perdizione eterna sono intimamente legate alla volontà del singolo individuo che in quanto persona umana può e deve scegliere se consegnare il timone della sua vita a Cristo Signore o al principe di questo mondo.

Tacere questa verità o deturparla in nome di teorie che giustificano il male più orrendo, anche in nome della misericordia infinita di Dio, è creare una mentalità che fa dell’irresponsabilità il suo fondamento e al tempo stesso il suo idolo.

Affermarla invece è amare il fratello e dargli la possibilità di salvarsi da questa generazione perversa e degenere, fuggendo il male con orrore e custodendosi puri dinanzi a Dio e agli uomini (cf. Fil 2,15).

Il discorso si apre così al ministero della profezia ordinaria che è dovere preciso di ogni battezzato nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Un ministero particolarissimo che non può essere svolto con approssimazione o superficialità. Dal retto annuncio del Vangelo infatti nasce la salvezza perché nasce la vera conoscenza di Dio e dell’uomo; dall’annuncio frammentario, parziale ed ereticale nasce la perdizione perché esso fomenta l’ignoranza di Cristo e incoraggia le coscienze lasse.

A ciascuno di noi la saggezza e il coraggio di annunciare la Parola di Gesù nella sua interezza salvifica anche se questo vuol dire doversi caricare della croce della persecuzione e del martirio.

Che la Vergine Maria ci aiuti, ci sostenga e sia nostra rifugio nei momenti più difficili della nostra missione.