La vanagloria degli scribi – XXXI Domenica Ord A

La vanagloria degli scribi – XXXI Domenica Ord A

La vanagloria è una brutta malattia. Si fa tutto per essere ammirati dalla gente e nulla per servire gli altri in modo gratuito e disinteressato.

«Tutte le loro opere [gli scribi e i farisei] le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente (Mt 23,5-7)».

Questa malattia può infettare tutti poiché è molto contagiosa. La ragione è da ricercarsi nella superbia che, ohimè, fa parte della nostra natura contaminata dal peccato originale. Tutti possiamo diventare, per intenderci, come gli scribi e i farisei: vanitosi e amanti dell’effimero, desiderosi di essere incensati dagli uomini giorno e notte.

Un cuore attaccato alla vanagloria non può però servire il Signore. Gesù infatti, pur essendo grande più di tutti noi, si è fatto nostro servo. Non ha disdegnato di chinarsi sulla nostra umanità per lavarla con il suo sangue. Egli ha lavato i nostri piedi e ha sempre aiutato i peccatori a convertirsi per essere salvati. Gesù non ha mai ricercato un tornaconto personale. Anzi, per l’amore che ha sempre donato, ha ricevuto in cambio scherni e sputi da coloro che si sono fatti suoi carnefici.

La vanagloria è ostacolo potente che impedisce di amare e pertanto di imitare Gesù. Essa ci rende ciechi e permalosi.

Ciechi perché non vediamo il fratello come qualcuno da amare, da servire, da perdonare, da accogliere nonostante il suo peccato. Permalosi perché interpretiamo il suo agire con fare sospettoso tanto da vedere il male anche dove le intenzioni sono nobili e rette. La vanagloria è molto pericolosa e da essa bisogna guardarsi. Essa è alleata della cattiveria che con il suo aiuto entra facilmente nel cuore e rende l’uomo – e la donna – dispettoso e omicida.

La vanagloria si chiama così perché è vana. Non ci serve per essere felici. Al contrario ci rende tristi perché sempre insoddisfatti. Essa non sazia la concupiscenza insita nel cuore dell’uomo ma la aumenta, la rende infinita, trasformando così l’uomo in uno schiavo.

Scribi e farisei non erano infatti schiavi gli uni degli altri? Oggi, non sono forse tanti gli schiavi a causa della vanagloria che non possono separarsi dai loro “compari”? La società ha da sempre di queste strutture ben compaginate e solide. Chi apre il cuore alla vanagloria finisce nelle trame di organizzazioni – ufficiali e ufficiose – in cui regna la legge del “do ut des” che sostituisce la volontà di Dio con quella dei potenti di turno che vogliono imporre i propri interessi a tutti e lo fanno con astuzia diabolica.

Basterebbe bandire la vanagloria dal cuore dell’uomo e di colpo nascerebbe un mondo nuovo in cui verità, amore e libertà operano in perfetta sinergia.

È possibile che ciò accada? Come fare perché ciò accada? Qual è la medicina contro la vanagloria che porta tanta distruzione in ogni dove?

La risposta viene solo da Cristo Gesù. È Lui la Medicina e il Medico. È lui il primogenito dell’umanità nuova che tutti dobbiamo costruire giorno per giorno, in noi e fuori di noi. Gesù è capace di sconfiggere la vanagloria perché è capace di cambiare il cuore dell’uomo.

È capace di cambiare il fine della vita insegnando all’uomo l’amore vero che non cerca la ricompensa degli uomini, ma quella dell’Onnipotente. Gesù, con la sua grazia sanante, strappa l’uomo dal suo immanentismo mortale che gli impedisce di guardare all’eternità come alla meta da raggiungere. Non l’eternità qualsiasi. Ma quella del Paradiso in cui il peccato è sconfitto per sempre, e l’uomo sa amare e si lascia amare nella purezza del cuore, dell’anima, dello spirito e, un giorno, anche del corpo.

Che la Vergine Maria, Serva del Signore e Regina del Paradiso, interceda per noi e ci ottenga un cuore libero dalla vanagloria e sempre pronto ad amare in modo gratuito e disinteressato.

A questo link trovi la liturgia della Parola di questa XXXI Domenica del Tempo Ordinario (A)