Il Sacerdote e la sua delicata missione – IV Domenica di Pasqua (B)

Il Sacerdote e la sua delicata missione – IV Domenica di Pasqua (B)

Per volontà esplicita di nostro Signore, la salvezza delle anime è affidata, prima di tutto, al Sacerdote. Egli è colui che deve pascere il gregge e vigilare su di esso, «sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a lui affidate, ma facendosi modello del gregge» (1 Pt 5,2-3).

Il lupo, Satana, è infatti sempre pronto ad assalire le pecore per divorarle e condurle con sé nelle tenebre eterne. Egli vive per questo. Non ha altro interesse se non saziare la sua invidia, che lo spinge a confondere le menti e i cuori con la menzogna, di cui egli è padre e maestro (cf. Gv 8,44).

Come il pastore è necessario perché ogni pecorella sia custodita dalle bestie selvatiche, così il Sacerdote è necessario perché la salvezza si compia. Per intenderci, la mediazione sacerdotale non è affatto opzionale. Non si può dire che il Sacerdote è un aiuto supplementare o un sostegno che serve ad alcuni piuttosto che ad altri. Il Sacerdote è insostituibile nel processo dell’evangelizzazione e della santificazione delle anime. Egli è elemento essenziale nella Chiesa di Cristo, che non per nulla è di natura apostolica. Senza Sacerdote – vale la pena essere ancora più chiari – non c’è Chiesa cattolica, non c’è salvezza piena, non c’è cammino di fede autentico. Per nessuno.

Su questo argomento bisogna insistere, oggi più che mai, perché la società attuale tende a banalizzare il ministero sacerdotale. Intanto svuotandolo della sua verità costitutiva e poi dichiarando la possibilità di una sottile e silenziosa sostituzione con altri ministeri che nulla hanno a che fare con il Sacerdozio, siano essi di natura ecclesiale o profana.

Questa operazione, che ha del diabolico, si porta innanzi in nome della necessità di adattare il Sacerdozio ai tempi moderni che hanno bisogno di un Sacerdote laicizzato, nel cuore e nella mente, nel suo parlare e nel suo agire, nel suo modo di essere e di mostrarsi al mondo. Un Sacerdote nuovo insomma, che sia conformato alla natura della pecora e non a quella del Pastore.

Sostenere queste teorie significa però contraddire la fede della Chiesa e la verità contenuta nella Sacra Scrittura, che da sempre affermano la differenza tra il Sacerdote e il laico in quanto a natura, potestà sacra, ministero, competenze e missione. Differenza che deriva dal Sacramento ricevuto e non da una convenzione firmata da uomini comuni che si sono messi d’accordo per motivi di gestione ecclesiale. Il Sacerdote è differente dal laico perché così ha voluto e vuole il divino Fondatore della Chiesa, che nella sua sapienza infallibile ha deciso di essere presente in mezzo al suo popolo attraverso i suoi Ministri ordinati, coloro che Egli sceglie in mezzo agli uomini e costituisce tali per gli uomini nelle cose che riguardano Dio (cf. Eb 5,1).

E si badi bene che qui non parliamo semplicemente di una mediazione in ordine al dono della grazia sacramentale. La mediazione è anche in ordine al dono della verità che rende efficace la grazia nel singolo fedele. Per intenderci, il Sacerdote non è insostituibile solo perché perdona i peccati, fa l’Eucaristia, amministra i Sacramenti. E nemmeno perché deve firmare un certificato in virtù del suo ufficio di Parroco. Il Sacerdote è insostituibile perché è lui, in prima persona, il chiamato ad essere voce di Cristo Buon Pastore in mezzo al gregge. E se un gregge non sente la voce del pastore, si perde, si smarrisce, non ha possibilità alcuna di sopravvivere nella selva del mondo in cui sono infiniti i lupi rapaci e le bestie feroci. Se un gregge non ascolta la voce del Pastore, non può amarlo perché l’amore richiede la conoscenza reciproca che si fonda dall’incontro di due cuori, l’Uno divino-umano e l’altro semplicemente umano:

«Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore» (Gv 10,14-16).

La salvezza non è immaginare Dio. È conoscerlo. È immergersi nel suo Cuore, ascoltando la sua voce e trasformando ogni suo desiderio, contenuto nella sua Parola, in vita vissuta. Ora, se manca il Sacerdote – che per tale motivo è chiamato alla grande santità e perenne mozione dello Spirito Santo – Cristo non parla al suo gregge e ognuno si smarrisce inseguendo i pensieri di questo o quell’altro falso messia. Questa prospettiva non sembri esagerata, perché negarla significherebbe negare l’apostolicità della Chiesa e recitare in modo falso il Credo durante la Santa Messa.

È chiaro che quanto detto non vuole affatto mettere in secondo piano il laico, che in virtù del Battesimo è membro del corpo di Cristo, chiamato ad essere strumento di salvezza e di redenzione. Ma su questo argomento avremo modo di parlare in altre occasioni. In questa Domenica, dedicata alla preghiera per le vocazioni sacerdotali, è necessario porre in evidenza la differenza costituiva del Sacerdote dal laico e la sua particolarissima e insostituibile missione, che non possiamo mai e poi mai dimenticare se vogliamo camminare secondo Dio ed essere a lui graditi.

La Vergine Maria, Regina degli Apostoli, ci aiuti a pensare la Chiesa secondo il cuore del suo divin Figlio, per non rischiare di deturparne la divina bellezza e rompere la sublime armonia che sempre la deve governare.

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